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L'eccidio di Kindu (1961)

Il Fairchild C-119 Flying Boxcar era un bimotore da trasporto tattico ad ala alta prodotto dall'azienda statunitense Fairchild Aircraft dal 1949. Fu utilizzato dall'United States Air Force durante le guerre di Corea e del Vietnam, venne anche adottato da numerose aeronautiche militari mondiali, tra cui quella italiana nel 1953. In Italia, il velivolo C-119G venne usato dall'Aeronautica Militare presso la 46ª Aerobrigata di stanza a Pisa e presso il 14º Stormo di Pratica di Mare. Questo storico velivolo fu testimone di molti eventi storici, tra cui si ricorda l'Eccidio di Kindu.


Il contesto storico subsahariano del 1961
Il Belgio, al momento dell'indipendenza, lasciò il Congo in un completo caos politico e amministrativo; grandi interessi internazionali e finanziari agirono poi per rendere più grave la situazione, favorendo la secessione del Katanga, la più ricca provincia del paese, centro d'importanti attività minerarie. Le fazioni in lotta erano tre: quella del presidente Joseph KasaVubu, con le truppe comandate dal generale Mobutu che controllavano le regioni occidentali; quella lumumbista di Antoine Gizenga, con le truppe del generale Lundula che controllavano le province orientali, quella katanghese di Moise Ciombe, con i gendarmi guidati da mercenari belgi.

La guerra era improvvisamente scoppiata il mese precedente a seguito dell'uccisione di Patrice Lumumba, l'ex Primo Ministro nazionalista che aveva tentato di liberare il paese dalle ingerenze esterne. Mandante dell'omicidio era Moise Ciombe, leader della provincia secessionista del Katanga, appoggiato dal presidente della repubblica Joseph Kasavubu e dal capo delle forze armate Mobutu Sese Seko, il quale avrebbe in seguito retto le sorti del paese per circa quarant'anni.

L'Eccidio di Kindu.
Due equipaggi italiani di C119 operavano da un anno e mezzo nel Congo, il 23 novembre 1961 sarebbero dovuti rientrare in Italia. La mattina di sabato 11 novembre 1961 i due aerei decollarono dalla capitale Leopoldville per portare rifornimento alla piccola guarnigione malese dell'ONU, che controllava l'aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale. La zona era sconvolta da mesi dal passaggio delle truppe di Gizenga (provenienti da Stanleyville, dirette nel Katanga), reparti improvvisati i cui componenti erano spesso ubriachi, indisciplinati e dediti alle ruberie ai danni della popolazione locale.
Gli aerei italiani si dovevano fermare a Kindu solo per il tempo di scaricare e fare una breve fermata. I due C-119 comparirono nel cielo della cittadina poco dopo le 14:00, dopo aver fatto alcuni giri sopra l'abitato, atterrarono all'aeroporto controllato dai malesi. Da vari giorni in città vi era un'agitazione maggiore del solito: fra i duemila soldati congolesi di Kindu si era sparsa la voce che fosse imminente un lancio di paracadutisti mercenari al soldo del regime di Ciombe, e da tempo le truppe di Gizenga che operavano nel nord del Katanga, 500 chilometri più a sud di Kindu, erano sottoposte a bombardamenti dagli aerei katanghesi.

La vista dei due aerei italiani, scambiati per velivoli katanghesi carichi di paracadutisti, scatenò la reazione incontrollata dei soldati di stanza a Kindu: diverse centinaia di congolesi si recarono in camion all'aeroporto dove in quel momento i tredici uomini degli equipaggi italiani, comandati dal maggiore Parmeggiani, si trovavano alla mensa dell'ONU, una villetta distante un chilometro dalla pista, insieme a una decina di ufficiali del presidio malese. Intorno alle 16:15 i congolesi fecero irruzione nell'edificio, dove italiani e malesi, quasi tutti disarmati, si erano barricati. Circa 80 soldati congolesi sopraffecero rapidamente gli occupanti della palazzina e li malmenarono duramente, accanendosi in particolare contro gli italiani scambiati per mercenari belgi al soldo dei katanghesi. Il tenente medico Francesco Paolo Remotti tentò di fuggire lanciandosi da una finestra aperta, ma fu rapidamente raggiunto dai congolesi e subito ucciso.

Intorno alle 16:30 arrivarono altri 300 miliziani congolesi guidati dal comandante del presidio di Kindu, un certo colonnello Pakassa. Il comandante malese, maggiore Maud, tentò inutilmente di convincerlo che gli aviatori erano italiani dell'ONU e alle 16:50 i dodici italiani, costretti a trasportare con loro il corpo di Remotti, furono caricati a forza sui camion e portati in città, per poi essere rinchiusi nella piccola prigione locale. Mentre il maggiore Maud e il suo vice discutevano se fosse meglio trattare il rilascio pacifico degli italiani o tentare un'azione di forza per liberarli, quella notte giunsero all'aeroporto di Kindu da Leopoldville il generale Lundula e alcuni funzionari dell'ONUC. Il gruppo cercò di contattare il comando del presidio per avviare un canale di trattative, ma il tentativo fallì e il generale ebbe l'impressione che gli ufficiali congolesi avessero ormai perso del tutto il controllo sui loro uomini.

Quella notte, soldati congolesi fecero irruzione nella cella dove erano detenuti i dodici aviatori italiani e li uccisero tutti a colpi di mitra; abbandonati i corpi sul posto, questi furono spostati poche ore dopo dal custode del carcere che, temendone lo scempio, li trasportò con un camion nella foresta fuori città e li seppellì in una fossa comune. I miliziani congolesi accusarono gli italiani di fornire le armi ai secessionisti, diffusero la notizia secondo la quale questi fossero in volo verso il Katanga e fossero stati ingannati e convinti ad atterrare a Kindu dai responsabili della torre di controllo.

Per giorni non si seppe nulla della sorte degli aviatori, lo stesso comando delle truppe ONU temporeggiò per evitare di scatenare una rappresaglia contro gli italiani, senza sapere che questi erano già stati uccisi. Solo alcune settimane dopo l'eccidio il custode del carcere si mise in contatto con i fratelli Arcidiacono, due italiani residenti da tempo a Kindu: questi riuscirono a ricostruire le circostanze dell'eccidio e a contattare le autorità ONU per predisporre il recupero delle salme.

Nel febbraio del 1962 quindi un convoglio della Croce Rossa austriaca, scortato da un contingente di caschi blu etiopi e accompagnato da due ufficiali della 46ª Aerobrigata rinvenne la fossa comune dove erano stati seppelliti gli italiani nel cimitero di Tokolote, un piccolo villaggio sulle rive del Lualaba ai margini della foresta. I corpi, protetti da una grossa crosta di argilla, erano ancora in buono stato di conservazione e furono facilmente identificati. Trasportati all'aeroporto di Kindu, furono imbarcati su un C-119 italiano e inviati a Leopoldville, da dove rientrarono in Italia a bordo di un C-130 statunitense.

Le circostanze esatte dell'uccisione rimasero a lungo confuse, con varie voci che sostennero che l'eccidio fosse avvenuto con la partecipazione o comunque davanti alla popolazione civile locale, o che i corpi degli italiani fossero stati mutilati in vario modo; la ricostruzione dei fatti in seguito al ritrovamento delle salme smentì gran parte di questi dettagli.
https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Kindu
https://it.wikipedia.org/wiki/46%C2%AA_Brigata_aerea
https://it.wikipedia.org/wiki/Fairchild_C-119_Flying_Boxcar
https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_del_Congo


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